Quando sono uscita dalla sala sono rimasta stordita a lungo. Non
meditabonda, proprio stordita, come se qualcosa mi avesse attraversato.
Si è scritto che un film così negativo era fuori luogo, quasi un voler
giustificare la follia omicida. Io ho visto esattamente il contrario:
una grave condanna alla violenza in ogni sua forma e le dirette
conseguenze.
Dall’abbandono delle istituzioni, agli abusi sui
minori, dalla violenza fisica a quella psicologica che tutti possiamo
subire e commettere con l'indifferenza, la mancanza di gentilezza,
l’assenza di empatia. Il tutto, a mio parere, raccontato con grande
maestria di ogni reparto.
"Io non sto chiedendo niente, volevo solo un po’ di gentilezza, un abbraccio! Ma cosa avete tutti si può sapere?"
L’apertura, con un lunghissimo primo piano di Arthur in preda ad una
risata psicotica, ci proietta subito in una dimensione di disagio
disturbante che ci rimarrà addosso anche dopo la proiezione.
Noi
siamo Arthur Fleck, per tutto il film. Senza fare uso dell'escamotage
tecnico della soggettiva, sceneggiatura, regia e fotografia ci
costringono a entrare nella sua testa e rimanerci. Senza vie d’uscita,
come lui.
WE ARE ALL CLOWN.
“Sono io….oppure tutti gli altri stanno impazzendo?”
“C’è tensione. Le persone sono provate, tempi duri". Arthur accenna un sorriso sarcastico.
Come se fosse una giustificazione all’essere ostili, sgradevoli, abusanti.
Chi è il pazzo? Lui o chi l’ha fatto diventare tale?
Il dolore è stampato nella filigrana delle cose dal primo fotogramma.
Senso di soffocamento, buio, mancanza d’aria, colori acidi. Il corpo di
Arthur, spesso esposto nella sua nudità grottesca, appare ferito anche
quando non subisce percosse. Le posture innaturali che Phoenix assume e
la magrezza eccessiva, incidono il disagio nella materia di un'anima che
non conosce nutrimento. Da sempre e per sempre.
Ma…è condannato a
ridere, a far finta di essere felice, nonostante tutto. La risata
psicotica fuori controllo si innesca nei momenti in cui l’ingiustizia
diventa troppo forte da sopportare, è la misura della tragedia.
PUT ON AN HAPPY FACE.
L’abuso scorre silenzioso come sangue guasto nelle inquadrature claustrofobiche.
Nelle pieghe di quelle stanze desolate, è innominato, sotterraneo,
immutabile, mentre la tv accesa rischiara una speranza più dolorosa
dell’abuso stesso: la speranza disattesa che qualcuno o qualcosa spezzi
il copione e sovverta tutto.
Ma non c’è. Buca delle lettere vuota. Ancora invisibile.
"Lei non mi ha mai ascoltato. Le ho detto che per tutta la mia vita non ho mai saputo se esistevo veramente. Ma esisto.”
Arthur subisce senza conoscere difesa, rabbia, reazione. Nel momento
in cui acquisisce la consapevolezza, oltrepassa la soglia e restituisce
la violenza.
Fosse una canzone sarebbe il momento in cui la musica è
ridotta al silenzio per poi esplodere in un rabbioso assolo che graffia
l’aria, rompe le corde.
"Ho ucciso quegli uomini perché erano orrendi. Tutti sono orrendi oggi. Abbastanza da far impazzire chiunque"
Dopo il primo omicidio avviene un corto circuito, nella stanza tetra in
cui si è rifugiato comincia a danzare. Quel corpo rigido, ingabbiato
nelle sue stesse ossa, accenna movimenti fluidi, leggeri, quasi solenni.
Per la prima volta la camera si schioda dal cavalletto e segue
ipnotizzata i movimenti dell’attore. Una scena di un’incredibile tragica
bellezza.
La danza, riproposta sempre più elaborata dopo ogni
vendetta, diventa un contrappunto alla sua trasformazione. Avesse
trovato un altro sbocco sarebbe diventato un simbolo positivo, ma la
rivincita la trova nella violenza che a sua volta lo porta a distruggere
e venire distrutto. Diventa Joker. Un eroe negativo, una sorta di
messia nero degli ignorati, degli abusati. La magistrale sequenza in cui
viene tirato fuori dalla macchina della polizia, richiama quella della
deposizione di Cristo dalla croce.
Mentre Joker viene acclamato dai
suoi seguaci e Gotham brucia sotto un delirio distruttivo, i coniugi
Wayne vengono uccisi davanti a loro figlio.
Il bambino rimane in
piedi a fissare i genitori assassinati: è Bruce Wayne, il futuro Batman.
Lui, per via di questo episodio, sceglierà di combattere le ingiustizie
diventando un eroe positivo.
In queste due scene alternate c’è la chiave di tutto: LA SCELTA.
Siamo tutti Arthur Fleck. Chi più, chi meno, ha subito qualcosa. A
volte ferite che non conoscono sutura. E da qualche parte ognuno ha
trovato forse una rivincita, un motivo per danzare, essere leggeri.
Ma ogni giorno scegliamo se diventare Joker a nostra volta o
interrompere la spirale di mancanza d’empatia che ci circonda e che
sempre genera mostri.